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Quanto contano i like su Facebook?
25 Giugno 2020

Tempo di lettura: 3 minuti

I Like sulla nostra pagina Facebook sono davvero un dato che dimostra quanto siamo bravi come social media manager? La risposta è no. 

Il pollicione alzato non è più un parametro primario, tanto che è ormai derubricato a “vanity metric”: buono per la nostra vanità e per il confronto con il nostro competitor. Sempre meno utenti ormai lasciano il loro “mi piace” (succede anche su Linkedin, dove i like si chiamano “consiglia”). Oltre a ciò l’algoritmo di Facebook si muove, e si muoverà sempre più, con logiche ben diverse da ciò che la vulgata popolare dice. 

Lo vedremo fra poco.

A livello professionale conta molto di più analizzare il numero di visualizzazioni, il tempo di visualizzazione, le interazioni (le azioni compiute dall’utente su quel  post). Oltre, è giusto dirlo, alla qualità del contenuto e alla sua coerenza con i valori aziendali. 

Cosa ci ha detto sui like l’uomo di Facebook?

Poco tempo fa abbiamo ricevuto da Facebook l’opportunità di una consulenza tecnica telefonica con un esperto della casa, cosa molto rara. Come molti sanno è quasi impossibile “parlare di persona con Facebook”.

Fra le varie cose abbiamo posto il caso di un nostro cliente, attivo in un mercato molto specifico e con contenuti giocoforza destinati agli addetti ai lavori. Un classico B2B con in più la difficoltà di rivolgersi a un’audience ristretta. 

La risposta dell’uomo di Menlo Park è stata più o meno questa: “Un’azienda non è un influencer, non perdete tempo e soldi a rincorrere i like. Piuttosto considerate un buon budget per sponsorizzare i contenuti”.

Questo lo si fa sfruttando gli strumenti business e l’intelligenza artificiale della piattaforma per arrivare con più efficacia a coloro che veramente possono essere interessati al nostro contenuto.  

Ma allora se non sponsorizzo cosa succede?

Stiamo sempre parlando di pagine aziendali, è bene ricordarlo, non di profili personali o di gruppi. Queste pagine sono uno dei punti di approdo per chi vuole conoscerci (cioè un “touch point” del nostro marchio) e hanno un loro pubblico che legge i contenuti pubblicati, sebbene esso non coincida con il numero di follower. 

Dunque no, non saremo influencer (magari lo può diventare il titolare con il suo profilo) ma abbiamo la responsabilità di tenere alta la reputazione del brand, affermandolo come coerente nei suoi valori, autorevole e serio, sensibile a determinate cause, allineato con la qualità dei prodotti o dei servizi. 

In una pagina Facebook i like arrivano anche naturalmente, in modo organico, ma in misura minore rispetto alle origini. 

A livello empirico possiamo dire che (salvo eccezioni) una pagina da 40.000 like può contare su una visibilità dei post da 3.000 a 15.000, a seconda dell’argomento, dalla qualità del contenuto e dal numero di condivisioni degli utenti.

Attenzione: parliamo di visibilità  non di “mi piace” o di commenti. 

Eccoci arrivati alla questione dell’algoritmo e della “reach organica”

Come accennavamo all’inizio, l’algoritmo di Facebook si muove con logiche che molti ignorano o che travisano in base alla loro esperienza di utenti assidui. Spesso anche i millennials cadono nel trabocchetto, a dimostrazione che non basta una data di nascita a classificare un esperto.  

La cosiddetta “reach organica” (quanti utenti vedono il post senza doverlo spingere pagando) sarà sempre più limitata e per questo, giova ricordarlo, se abbiamo un’azienda, è bene definire un budget per le sponsorizzazioni.

I grandi brand con un numero alto di follower sanno già che per loro la media del numero di post visualizzati in modo organico sarà ancora più bassa e, certo, non staranno a contare i like su Facebook.

L’algoritmo di Facebook agisce mostrandoci i post nell’ordine in cui è più probabile che li apprezziamo. Lo riesce a fare perché ci “conosce” e lo fa anche per restituirci un’esperienza di utilizzo migliore.

Una “macchina” sofisticata per capire i nostri comportamenti

Facebook sta lavorando per automatizzare in modo sempre più efficace i budget pubblicitari. Questo favorirà le imprese inserzioniste poiché la “macchina” sempre più potente della piattaforma si occuperà di trovare il destinatario ideale.

All’inserzionista non resta che concentrarsi sulla creatività dei contenuti e definire durata e budget della campagna  

La “macchina” che stanno mettendo a punto a Facebook riconoscerà il destinatario ideale per la nostra campagna non attraverso quel che questi ha dichiarato, ma in base ai suoi comportamenti nel tempo.

In termini tecnici l’algoritmo si basa sui cosiddetti “Segnali di classifica”: una sorta di punteggio basato sul nostro comportamento storico.

Un cambiamento continuo. Social sempre più centrali nella comunicazione

Siamo solo agli inizi di una grande evoluzione della famiglia Facebook-Instagram-Whatsapp.

Da una parte si affina l’automazione per aiutarci a fare business coi contenuti.

Dall’altra parte si torna in qualche modo alle origini: vale l’esperienza dell’utente, valgono i suoi interessi, vale la sua vita, a prescindere dalla sua attività lavorativa. 

Ogni azione compiuta, anche solo soffermarsi a leggere un post o un video, viene classificata. Ogni azione è un “segnale” che verrà poi trasformato in valore da parte delle automazioni pubblicitarie, sempre più sofisticate e mirate. 

Come vediamo dietro al lavoro di gestione professionale dei Social ci sono molti aspetti di cui tener conto (questo è solo uno. E ciascun Social ha i suoi).

Oggi tanti si dicono esperti, ma per esserlo davvero occorre un aggiornamento continuo, un confronto costante con gli addetti al lavori e, altra cosa non da poco, anche molta sperimentazione.

facebook e i like, come arrivano

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