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Il Metaverso cambierà molte cose, e sarà un altro calcio al Novecento
11 Dicembre 2021

Tempo di lettura: 4 minuti

Sempre più spesso nei dibattiti politici sentiamo parlare di “intelligenza artificiale”, “big data”, “digitalizzazione”… all’appello manca il Metaverso. 

Sono stato all’ultima edizione del Mecspe, a Bologna, di recente. C’era un’intera area dedicata alla gestione della produzione e della manutenzione attraverso smartglass e visori di realtà aumentata. Cosa non nuovissima, peraltro: chi lavora nel campo delle macchine automatiche è sul pezzo da tempo (un esempio qui). 

Ma il salto nel futuro è iniziato, accelerato dalla pandemia. Potenzialmente nell’arco di 5/10 anni questo cambiamento potrà travolgere molte nostre consuetudini e attività: la formazione, i convegni, la progettazione di manufatti, le fiere, l’intrattenimento, i servizi di consulenza alle imprese, la produzione di contenuti, il coaching.

Ci piace? Non ci piace l’idea? Non ha alcuna importanza, qualcuno direbbe che non si può fermare il vento con le mani.  

Quella volta su Second Life

Una ventina di anni fa era in voga Second Life, un bel mondo popolato di avatar, in cui Rizomedia era presente e operativa. Avevamo anche una sede pagata a suon di Linden Dollar. Fummo fra gli artefici di una bella esperienza inedita di evento reale e virtuale. Già allora erano evidenti le enormi potenzialità di questo approccio, ma i tempi non erano ancora maturi, la banda era molto meno larga di quella di oggi, e i processori erano decisamente più lenti (in ogni caso occorre precisare che Second Life c’è ancora). Ora le prospettive sono certamente più concrete. 

Nel Metaverso saremo cognitivamente immersi in una presenza dalle piene potenzialità operative

Oggi le reti e le “macchine” sono decisamente più evolute e lo saranno sempre di più con il 5G. I nostri avatar potranno gestire produzioni che nel frattempo verranno sempre più automatizzate grazie all’evoluzione di Industria 4.0.

Bravi chirurghi potranno gestire da migliaia di chilometri le più delicate operazioni operando su un ologramma del paziente e manovrando un robot a distanza. I professionisti potranno offrire servizi, curare relazioni, riunirsi in team più che realistici da tutto il mondo, senza prendere un aereo. Forse anche il traffico diminuirà, chissà. 

I comunicatori sapranno essere efficaci in modo totalmente nuovo rispetto a ora. Imprenditori svegli potranno accompagnare i loro clienti a passeggio nei locali del loro hotel, nei reparti dell’azienda o nel loro showroom (senza andare alle fiere). I tecnici e i progettisti potranno lavorare sullo stesso pezzo meccanico in tempo reale, muovendolo con le mani da Bologna e da Istanbul.

E la fanteria potrà combattere da migliaia di chilometri attraverso macchine antropomorfe paracadutate sulla scena bellica con aerei pilotati da chissà dove da un pilota che succhia la Coca Cola con una cannuccia di carta biodegradabile.

Il Metaverso sarà il calcio definitivo al Novecento? 

Oplà. In un colpo solo siamo in una galassia lontana lontana, pur restando a casa nostra. Pensate alle implicazioni, anche in termini sociali, politici, sindacali, immobiliari, commerciali, artistici, assicurativi e di privacy. E noi stiamo a discutere sul prossimo decoder tv.

Sarà un altro calcio assestato al Novecento e a molti suoi relitti ideologici e organizzativi? Potenzialmente sì.

Ci saranno lavori nuovi, oggi non immaginabili, e ne tramonteranno altri. La storia dell’umanità è costellata di cambi epocali. Certo è che nelle innovazioni tecnologiche sopravvive sempre quella che funziona e che serve per davvero a qualcosa. E se questo sarà il caso… beh, allora davvero nulla sarà più come prima e tanto vale cominciare a prendere confidenza: non servono caschi da pilota di F15, basta un bel paio di occhiali da sole Rayban come questi.

Non solo ingegneri, la cultura tecnica non basterà

È Meta a candidarsi per pilotare la svolta (avrebbe per questo messo a budget 150 milioni di dollari) per la quale prevede 10 mila assunzioni. Non serviranno solo ingegneri, creatori di contenuti, esperti di gamification, ma anche psicologi, antropologi, sociologi, linguisti, formatori… Non basterà possedere una solida “cultura tecnica” e professionale perché non è solo questione di matematica o di manualità, c’è un mondo nuovo da costruire e non dobbiamo smarrire l’essere umano. 

Meta non sarà l’unica a spingere in questa direzione, sarà in buona compagnia, a cominciare dai soliti noti, gli unici che oggi sembrano avere il potenziale economico e intellettuale per aprire queste nuove porte della percezione. Fra questi c’è Microsoft, che ha staccato un assegno da 69 miliardi di dollari per l’acquisto di Activision Blizzard (8,09 miliardi di dollari fatturati nel 2020). “Questa acquisizione accelererà la crescita del business dei giochi di Microsoft su dispositivi mobili, PC, console e cloud e fornirà i mattoni per il Metaverso“, ha dichiarato la società fondata da Bill Gates. Anche Nike, Adidas e Walmart, il colosso della grande distribuzione americana, stanno investendo sul Metaverso e sulla valuta digitale (a questo link un articolo).

In Italia come andrà?

Il Metaverso potrebbe anche mandare in pensione il Web come lo conosciamo noi, con tutta la sua pletora di smartphone, tablet, e computer da scrivania. Sì perché nel Metaverso ci entri, non stai mica a guardare uno schermo. 

Tanti anni fa, quando ero molto giovane (prima di Internet per intenderci) a una fiera per nerd salii su un ring indossando un prototipo di casco per la realtà virtuale. Il combattimento con l’avversario mi vide perdente ma, porca miseria, pur essendo risoluzioni goffe rispetto a quelle di oggi, vi assicuro che l’immersione nella scena era già totale. So bene che nell’epoca degli “sparatutto” è un ricordo che fa tenerezza. Però alla fine dell’esperienza avevo il cuore a mille ed ero confuso: in quel periodo, a scuola, un insegnante molto autoritario mi proibiva di usare la calcolatrice scientifica e mi imponeva di fare i conti con un regolo calcolatore (uno strumento del XVII secolo). Non male come paradigma della scuola italiana.

La sfida è enorme per il nostro Paese, ci sono da colmare grandi lacune che sono prima di tutto culturali, formative, politiche, dirigenziali e cronicamente infrastrutturali.

Ce la faremo? Ci vorrebbe un algoritmo per prevedere come andrà a finire.

Massimo Calvi ©2021

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