I cinquantenni di oggi sono inquieti. La generazione nata fra la metà degli anni ’50 e quella degli anni ’60 del secolo scorso, nel pieno del Baby-Boom, si è trovata a compiere 50 anni in un mondo decisamente diverso da come lo immaginavano.
C’è chi ha ancora figli da mantenere, disoccupati o precari che non sono ancora autosufficienti, così come forse lo sono anche i nonni, alle prese con pensioni modeste e un welfare in affanno. C’è chi vede il proprio posto in azienda meno sicuro di un tempo e c’è chi l’occupazione l’ha perduta, trovandosi praticamente fuori dal mondo del lavoro.

L’illusione di un ritorno ai fasti precedenti il 2007 o, addirittura, ai dopati anni Ottanta e Novanta, è ormai del tutto svanita. Il cambiamento in atto ha modificato perfino le relazioni fra le persone. Ma soprattutto ha reso fragile e insicura una generazione, cresciuta in una soffice culla di certezze e sicurezze.

Il digitale potrebbe riqualificare sul mercato del lavoro molti cinquantenni

Secondo una recentissima ricerca presentata a fine settembre 2016 da Google e Ipsos, una svolta per i cinquantenni potrebbe arrivare dal digitale. Sempre che il baby-boomer si metta in gioco e superi quella certa resistenza ad approfondire l’uso della tecnologia andando ben oltre Facebook, Whatsapp, il pacchetto di Office e l’esibizione dell’ultimo modello di iPhone.

I ricercatori ci rivelano come in Gran Bretagna, che come popolazione ed estensione non è dissimile alla nostra Italia, un buon 15% del Prodotto interno lordo venga determinato dall’economia digitale. Nonostante ciò quel Paese accusa una forte carenza di risorse umane in quel campo. Un problema diffuso in tutta Europa, dove pare che la metà dei cittadini non abbia competenze digitali.

In Italia sappiamo tutti com’è la situazione, certamente non favorita da una rete inefficiente, da una classe dirigente inadeguata (imprenditoriale e politica), quando non è addirittura digitalmente analfabeta, e da un sistema scolastico ancora troppo arretrato.

I cinquantenni non si formano e non si aggiornano

La ricerca di Google e Ipsos ha rilevato come i cinquantenni italiani si rapportano con la tecnologia digitale. Sebbene quasi l’80% dichiari di far uso regolare e abbastanza smaliziato di smarthpone o tablet, e sebbene il 60% ritenga le competenze digitali molto importanti nella ricerca di una nuova occupazione, solo il 14% ha partecipato nell’ultimo triennio a corsi o altre attività formative per migliorare le proprie competenze in ambito digitale. Solo il 14%.

E’ uno spreco incredibile di opportunità, se pensiamo che il campo digitale è uno dei favoriti per l’occupazione del prossimo quinquennio e se pensiamo che la cosiddetta Industria 4.0, quella dell’automazione spinta e dell’intelligenza artificiale, metterà a rischio il lavoro di milioni di persone.

Rispondete voi: chi rischia di più? Un giovane millennial cresciuto a touch-screen e Google-Map o un adulto cresciuto nell’epoca della carta carbone e del Tuttocittà?

Ma perché, nonostante ciò, il cinquantenne non si dà da fare?
Le risposte ai ricercatori sono state diverse, ma tutte dello stesso tenore. Quasi la metà dice di aver preferito fare altro, gli altri trovano motivazioni come “non ho avuto l’occasione” o “non ho tempo”.

Ebbene, queste risposte denotano quanto sia attrattiva e pericolosa la cosiddetta “zona di comodo”, quella situazione di equilibrio che non ci mette in discussione, ci fa accontentare di quel che abbiamo, che ci fa dire: “abbiamo sempre fatto così ed è sempre andata bene”.
Dunque, la sfida è prima di tutto con noi stessi.

Il primo passo è il più difficile, ma è necessario

Oggi, anche per ha compiuto i 50 anni, non c’è nulla di stabile, il cambiamento è continuo ed è sempre complicato, lo sappiamo. Ma basta fare un passo alla volta, nella giusta direzione.

Ci sono molti modi per aiutarci a capire cosa vogliamo e come ottenerlo. Ad esempio sempre più aziende offrono percorsi di Coaching ai propri dipendenti. Trovo molto etico che un’impresa abbia a cuore la crescita personale dei propri collaboratori, anche e soprattutto di quelli più attempati.

Avere 50 anni non deve significare spiaggiarsi a ingrassare in attesa del compimento di un destino crudele, per poi imprecare a destra e a manca scaricando acidità sul mondo intero.

Cari miei coetanei cinquantenni, il mondo si muove veloce in una direzione. Noi non possiamo più modificare questa traiettoria e dubito che ci potranno riuscire i quarantenni e i trentenni. In ogni caso non abbiamo tempo di aspettare.
Se la daremo vinta a questo sistema saremo tagliati fuori dal nostro futuro. E se non faremo nulla per noi stessi sarà soprattutto colpa nostra.

Abbiamo visto come il mondo che in gioventù pensavamo monolitico si è dissolto in un attimo, travolgendo ogni nostra certezza. Lo abbiamo visto nel 1989, quando è crollato il Muro di Berlino. Lo abbiamo visto con l’avvento dei personal computer, lo abbiamo visto con l’avvento di Internet. Lo abbiamo visto con la globalizzazione dei mercati. Lo abbiamo visto con questa crisi maledetta e infinita.

Cos’altro deve capitare per farci alzare il culo dalle nostre comode poltrone?

Massimo Max Calvi