>Durante una conversazione a cui ho partecipato è emersa l’idea che, in un contesto informale o lavorativo/informale, si possa esprimere liberamente il proprio pensiero senza preoccuparsi di modulare le parole in base alla sensibilità altrui. Sebbene questo atteggiamento possa sembrare un’esigenza di spontaneità e autenticità, può anche tradursi in un’imposizione unilaterale del proprio modo di comunicare, influenzando le dinamiche di un dialogo equilibrato.
Una conversazione efficace si basa su due pilastri fondamentali: l’ascolto attivo e la riflessione. Ascoltare attivamente significa non solo “udire”, ma anche “sentire” le parole dell’altro. È un ascolto che presta una vera attenzione all’interlocutore, facendo domande per capire meglio, cercando di comprendere il contesto, le emozioni e le intenzioni dietro alle parole. Conseguentemente, la riflessione sul proprio contenuto, verbale e non verbale, è una manifestazione di considerazione e accoglienza dell’altro da sé. E questo facilita una comunicazione più utile, senza le ripercussioni emotive generate dalle “parole che escono male”.
La cultura aziendale gioca un ruolo significativo nel modellare una cultura della comunicazione del tipo “Io Ok – Tu Ok” (Rossi, Panniti, 2015). Una cultura tipica dell’approccio del coaching, o andando su un altro ambito, del dialogo di tipo rogersiano.
Leader e manager autorevoli che promuovono senza timore la comunicazione efficace favoriscono la collaborazione in un ambiente motivante.
Massimo Calvi